Sembra incredibile, eppure è la realtà quotidiana di tanti giovani agricoltori lucani che vivono nella regione con la maggior disponibilità di risorse idriche del Sud, ma nella quale l’acqua non arriva dove serve: nei campi, nelle colture, nei progetti di vita di chi ha scelto di restare.
Una regione i cui bacini idrici alimentano non solo le regioni limitrofe, ma anche la sregolata (in tutti i sensi) estrazione del petrolio senza che la Basilicata (in entrambi i casi) ottenga le giuste compensazioni.
Ed ecco il paradosso: una regione, quella lucana, che tra acqua e petrolio potrebbe essere tra le più ricche della penisola è prima nelle statistiche di emigrazione giovanile.
Il motivo?
Le risorse non vengono messe a servizio della popolazione, bensì è la popolazione che è al servizio delle risorse a beneficio di pochi soliti noti. Un’inversione di concetto che frutta denaro ai ricchi e lascia in miseria i poveri. Del resto, è ciò che i governi italioti hanno sempre fatto a Sud.
Se si considerano inoltre le attività petrolifere sul territorio per le quali l’utilizzo dell’acqua è fondamentale per il funzionamento dei pozzi di reiniezione o nella pratica (illegale e sottaciuta) del fracking, i conti tornano e l’acqua latita.
Tecniche come il fracking, inoltre, hanno come conseguenza gravissimi impatti ambientali e sulla salute, tra cui il rischio di contaminazione delle falde acquifere, dei bacini idrici come il Pertusillo, terremoti indotti, ed emissioni di gas serra.
Il tutto sotto gli occhi (chiusi) di chi dovrebbe vigilare: dalla politica alle autorità preposte.
Come Movimento Equità Territoriale diciamo basta a questo squilibrio.
L’acqua della Basilicata non può essere solo una risorsa per l’interesse di pochi: deve essere un diritto per chi lavora la terra, per chi produce cibo, per chi costruisce futuro nel Sud e in Basilicata.
L’agricoltura lucana sta morendo, non per siccità, ma per assenza di infrastrutture, di volontà politica, di giustizia.
La Basilicata sta morendo; è ora di cambiare rotta.



